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Propulsione a curvatura

Breve saggio sulla propulsione a curvatura
di Salvatore Carboni “Sooran”

Sommario:
Premessa: la propulsione a impulso.
I. Sezione: la struttura dello spazio.
II. Sezione: come curvare a piacere lo spazio.
III.Sezione: il campo di curvatura.
IV. Sezione: la velocità di curvatura.
V. Sezione: curvatura e paradossi relativistici.
VI. Sezione: curvatura e tunnel spaziali.
VII.Sezione: il motore a curvatura.



PREMESSA: LA PROPULSIONE A IMPULSO

Nel XXIV secolo il volo interstellare fa parte integrante della vita di ogni giorno, come un tempo lo erano gli spostamenti sulla superficie dei pianeti. Le odierne navi stellari offrono un livello di comfort talmente elevato da indurre l’utente medio a considerare il viaggio nello spazio come qualcosa di facile e scontato, senza riflettere sugli enormi problemi scientifici e tecnologici che è stato necessario risolvere negli ultimi 3 secoli per giungere alle prestazioni attuali, che la maggior parte degli scienziati vissuti nell’epoca pre-curvatura considerava impossibile da realizzare.
Tra questi problemi, quello della forma di propulsione ha rappresentato senza dubbio l’ostacolo più arduo da superare: prima della scoperta della teoria della curvatura, difatti, la maggior parte delle civiltà conosciute riteneva che il limite della velocità della luce rendesse praticamente impossibili i viaggi interstellari. All’epoca, difatti, l’unica forma di propulsione conosciuta era rappresentata dai motori a impulso, basati sulla terza legge della dinamica classica. Al fine di comprendere i principi posti a base della teoria della curvatura, e i complessi problemi che ha consentito di risolvere, ritengo opportuno illustrare brevemente i limiti insiti nella propulsione ad impulso, richiamando, quando necessario, le nozioni di fisica classica e relativistica necessari per la loro comprensione.

La propulsione ad impulso, come detto, è fondata sulla terza legge della dinamica classica, conosciuta come principio di azione e reazione: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria; in altre parole, ogni volta che ad un corpo viene applicata una determinata forza, si genera (per reazione) una forza di pari intensità, stessa direzione e verso opposto.
A questo punto è bene richiamare, per completezza di comprensione, le altre due leggi della dinamica classica.
Secondo la prima (principio di inerzia), ogni corpo tende a conservare il proprio stato di quiete (o di moto rettilineo uniforme), sino all’intervento di una forza esterna che modifichi tale stato. L’inerzia può essere dunque definita come la resistenza che un corpo oppone alla variazione del suo stato di quiete o di moto.

La seconda legge della dinamica classica afferma invece che applicando una forza ad un corpo, lo stesso subisce un’accelerazione direttamente proporzionale alla forza medesima, e inversamente proporzionale alla propria massa (f = m x a).
Questa legge è importante perché definisce il concetto di massa inerziale1, ossia di resistenza all’accelerazione: la stessa forza genera accelerazioni uguali in corpi di masse uguali e diverse in corpi di masse diverse. Per applicare una forza ad un corpo occorre, ovviamente, impiegare dell’energia, ossia, con espressione più tecnica, compiere un lavoro: l’energia viene difatti definita come la capacità di un sistema (ad esempio, di un motore) di compiere un lavoro, che è a sua volta definito come il prodotto della forza applicata ad un corpo per lo spostamento ottenuto2.

Poiché però il discorso rischia di divenire noioso, sarà meglio passare alle navi spaziali. Muovere un oggetto nello spazio comporta diversi vantaggi rispetto al movimento sulla superficie di un pianeta: l’assenza di attrito atmosferico e di campi gravitazionali3 comporta che, una volta impressa una determinata velocità, l’oggetto la conserverà indefinitamente, senza che sia necessario impiegare energia per mantenerla.
Supponiamo di essere a bordo di una navetta e di attivare i motori ad impulso: il sistema di propulsione preleverà del deuterio dai serbatoi e lo porterà a 15 milioni di gradi: a tale temperatura gli atomi di idrogeno si fonderanno per produrre atomi di elio, e una piccola parte di materia, circa lo 0,1%, si trasformerà in energia, secondo la nota relazione E=mc2. Otterremo così del plasma da eiettare dagli ugelli ad altissima velocità, e per reazione verremo spinti nella direzione opposta: in avanti se usiamo gli ugelli posteriori, a destra se usiamo quelli di sinistra ecc.. Una volta raggiunta la velocità desiderata, ad es. 1000 km/h, possiamo spegnere i motori e la navetta manterrà invariata tale velocità (nonché la direzione), sinché non interverremo sui comandi.
Tutto facile dunque. Sì, se ci accontentiamo di percorrere brevi distanze. Ma se vogliamo raggiungere un’altra stella, le cose diventano terribilmente complicate!

Cominciamo col più famoso limite di velocità dell’universo, quello della luce (o, in generale, della radiazione elettromagnetica): circa 300.000 Km al secondo nel vuoto (indicato comunemente con la lettera c). Se avete una vaga idea delle dimensioni dell’universo (diametro: circa 30 miliardi di anni luce4), della nostra galassia (diametro: circa 100.000 anni luce), o della distanza dalla stella più vicina (che nel caso del Sole è Proxima Centauri, lontana circa 4,3 anni luce), appare evidente come tale velocità sia troppo modesta per percorrere simili distanze in tempi accettabili. Ma perché non è possibile andare più veloci? Per rispondere a questa domanda dobbiamo richiamare alcuni principi di fisica relativistica.

Si è già parlato del concetto inerziale di massa, comunemente usato nella fisica classica. La caratteristica fondamentale della massa così intesa è che essa resta costante, invariante: perciò, in linea di principio, non ci sarebbero limiti alle velocità che è possibile raggiungere, a patto di disporre dell’energia sufficiente. Purtroppo non è così: quando si superano certe velocità occorre confrontarsi con un diverso concetto di massa, quella relativistica, che a differenza della prima non è costante, ma aumenta all’aumentare della velocità: i corpi, insomma, si oppongono ad essere accelerati a velocità prossime a quelle della luce, e tanto più ci si avvicina a tale velocità, tanto più difficile diventa accelerare ulteriormente, come se il corpo diventasse “più massiccio”. Detto aumento di massa segue una legge matematica ben precisa, che comporta la necessità di una quantità infinita di energia per raggiungere la velocità della luce, la quale risulta pertanto irraggiungibile e insuperabile5.
La conseguenza evidente di tale principio è che la propulsione ad impulso diventa terribilmente costosa alle alte velocità: occorrono immense quantità di propellente per raggiungere velocità vicine a quella della luce (che è sempre troppo poco, come detto, per le nostre esigenze), per tacere del fatto che il propellente fa parte della massa da muovere, per cui, anche disponendo di un enorme serbatoio pieno di deuterio, occorre fare i conti con la sua brava massa relativistica, e prima ancora con quella inerziale. La propulsione ad impulso ad alte velocità, insomma, è una sorta di serpente che si morde la coda.

La massa, inoltre, non è l’unica grandezza non più costante alle alte velocità: un altro problema da affrontare nei viaggi spaziali a velocità relativistiche è difatti la dilatazione del tempo.
Il tempo non scorre in modo uniforme per tutti gli osservatori, al contrario di quanto postulato dalla fisica classica, bensì tanto più lentamente quanto più l’osservatore che misura un dato evento si avvicina alla velocità della luce6.
Il motivo di questo fenomeno va ricercato nel fondamentale postulato posto a base della dinamica relativistica: l’invarianza della velocità della luce. Cerchiamo di chiarire il concetto; normalmente le velocità si sommano tra loro: se io, da una navetta in moto a 1000 km/s, lancio una sonda avente una velocità di 5 km/s, rispetto a me la sonda avrà detta velocità, ma un osservatore in quiete rispetto alla navetta misurerà invece una velocità di 1000 + 5 = 1005 km/s, poiché, giustamente (dal suo punto di vista), dovrà considerare anche la velocità che la sonda aveva prima di essere lanciata (ossia, la velocità della navetta).
Le cose vanno invece diversamente quando in ballo vi è la velocità della luce (o di una qualunque radiazione EM): se io accendo le luci di navigazione della navetta, o invio un (antiquato) segnale radio, sia io, sia l’osservatore in quiete rispetto a me, sia qualunque altro osservatore dell’universo, misureremo tutti la stessa velocità di propagazione dell’onda: circa 300.000 km/s7. Ora, poiché la velocità è definita, come è noto, come il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo impiegato per percorrerlo (v = s/t), e poiché nel caso di specie tutti gli osservatori hanno misurato la stessa distanza e la stessa velocità, ne deriva che a variare deve essere il tempo, il quale, come detto, scorre in funzione della velocità dell’osservatore.

Le conseguenze appaiono chiare: poiché ogni viaggio a velocità relativistica è anche un viaggio nel tempo (nel futuro), i costi di un simile viaggio sono elevatissimi non solo dal punto di vista economico (propellente), ma anche sotto il profilo sociale. Gli astronauti partirebbero con la consapevolezza di non rivedere mai più le loro famiglie, i loro parenti, i loro amici, a meno di non portarli con sé o di non averli affatto; al rientro, per contro, troverebbero una società profondamente diversa da quella che hanno lasciato, con intuibili problemi di reinserimento. L’astronauta tipo risulterebbe così essere un disadattato o un asociale, insomma un pessimo ambasciatore della sua specie! Ma non solo: un simile metodo di viaggio non potrebbe consentire l’esistenza di istituzioni interstellari, come la Federazione Unita dei Pianeti, che solo fondate sugli scambi commerciali e culturali tra razze diverse, e che presuppongono un omogeneo livello di progresso tecnologico e sociale: omogeneità che non è compatibile con i tempi necessari ai viaggi interstellari così concepiti.

Ma supponiamo, come è successo, di essere disposti a pagare i costi economici e sociali del viaggio a velocità relativistiche. I problemi sono tutt’altro che finiti, anzi! Quelli veramente seri iniziano proprio quando si parte, e sono tali da mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’equipaggio.
Cominciamo dall’accelerazione: per raggiungere velocità prossime a quella della luce occorre, ovviamente, imprimere alla nave accelerazioni elevatissime. Con l’avvento degli ammortizzatori inerziali tale problema è stato risolto in radice, ma appare improbabile che una società non ancora giunta alla tecnologia di curvatura possa sviluppare simili dispositivi8. Così, per proteggere l’equipaggio dagli effetti micidiali dell’accelerazione, questa deve essere estremamente lenta: si tenga conto che una banalissima accelerazione da 2 g comporta che l’astronauta sperimenti su di sé una forza pari al doppio del proprio peso, sinché dura l’accelerazione, con intuibili conseguenze sull’apparato scheletrico, muscolare, cardiocircolatorio. Ed è facile immaginare cosa succederebbe in caso di manovre di emergenza obbliganti a brusche variazioni di velocità o direzione.
La conseguenza è che il viaggio deve comunque durare diversi anni, prima di raggiungere la velocità di crociera o di decelerare a velocità compatibili con l’arrivo alla destinazione: anni percepiti effettivamente come tali, giacché la gradualità dell’accelerazione comporta che gli effetti relativistici di dilatazione del tempo divengano significativi solo dopo parecchio tempo dalla partenza.
Ma il peggio arriva quando la velocità diventa elevata: lo spazio, come è noto, è molto meno “vuoto” di quanto si riteneva un tempo; pulviscolo, micrometeoriti, semplici particelle subatomiche, tutta roba quasi innocua a basse velocità, si trasforma con l’accelerazione in una pioggia mortale di proiettili9 e radiazioni ionizzanti ad elevato potere penetrante, in grado di danneggiare gravemente lo scafo e di renderlo pericolosamente radioattivo per gli occupanti. Questo problema viene comunemente risolto dai deflettori di navigazione10, ma, al pari di quanto detto per gli ammortizzatori inerziali, si tratta di una tecnologia difficilmente sviluppabile da una società pre-curvatura.

Da quanto detto, insomma, appare evidente come la propulsione a impulso, pur indispensabile per gli spostamenti a breve raggio e le manovre orbitali, sia assolutamente inidonea al volo interstellare. Un viaggio con tale tipo di propulsione costituisce essenzialmente un esperimento scientifico, e spesso è un’importante tappa nel progresso tecnologico della maggior parte delle civiltà evolute, ma non muta la condizione di isolamento del mondo che lo sviluppa, né può avere significative applicazioni sul piano commerciale e sociale. Solo la propulsione a curvatura, o meglio il complesso di nozioni e tecnologie che essa comporta, consente di aggirare gli inconvenienti visti e aprire alla specie che la sviluppa le porte della comunità interstellare. Non a caso la Prima Direttiva considera idonee al Primo Contatto solo le civiltà che abbiano sviluppato tale tecnologia.
E’ ora, pertanto, di entrare in curvatura!



SEZIONE PRIMA: LA STRUTTURA DELLO SPAZIO

La propulsione a curvatura può essere definita in questo semplice modo: mentre nella propulsione a impulso si sposta la nave nello spazio, in curvatura si “muove” lo spazio attorno alla nave! Per la precisione, si comprime lo spazio nella direzione di avanzamento della nave, e lo si espande nella direzione opposta.
Le tre righe che precedono, se lette dalla prospettiva di un fisico dell’epoca pre-curvatura, sollevano così tanti problemi da richiedere, per la loro esauriente illustrazione, uno spazio e un tecnicismo incompatibili con lo scopo della presente trattazione. Cercherò di procedere passo per passo, limitando il tecnicismo allo stretto indispensabile.

Intanto, come è possibile “comprimere” o “espandere” lo spazio?
Occorre chiarire, a questo punto, cos’è esattamente (o quasi) lo spazio. Si tratta, in verità, di un concetto estremamente complesso, sia dal punto di vista fisico-matematico che da quello filosofico11. Cominciamo dalla nozione più elementare, che definisce lo spazio come distanza tra due corpi. Si tratta di una definizione banale solo in apparenza, perché contiene una verità fondamentale: lo spazio esiste solo in presenza di materia (o energia), non è concepibile uno spazio “vuoto”: se dall’universo, con un qualche procedimento fantastico, potessimo rimuovere tutta la materia e l’energia esistente, non avremmo un universo vuoto, ma, al contrario, non esisterebbe più l’universo (a patto di sparire anche noi). Una delle fondamentali acquisizioni della fisica relativistica è difatti che lo spazio ha una “struttura”, ha delle “dimensioni”, e non deve essere pensato in antitesi alla materia-energia, come una sorta di fondale in cui la massa recita da attrice principale; la materia, l’energia, le particelle in realtà sono “spazio concentrato”, o più tecnicamente “dimensioni collassate”.
Ma un passo alla volta: torniamo alla struttura dello spazio. Come appena detto, lo spazio presuppone l’esistenza di materia-energia; niente materia, niente spazio. Dal punto di vista strettamente intuitivo, appare ovvio che non si possa parlare di distanza tra A e B se A e B non esistono (benché la realtà sia molto più complessa). Lo spazio è “creato” dalla materia, la quale non è altro che un particolare “tipo” di spazio.

Facciamo un altro passo, e parliamo di tempo. Definire il tempo non è meno arduo che definire lo spazio, e solitamente le definizioni peccano di tautologia, giacché definiscono il tempo come durata o intervallo tra due eventi, senza riuscire a chiarire cosa sia la “durata”. Una prima osservazione che si può fare, però, è che, al pari dello spazio, anche l’esistenza del tempo richiede materia-energia; perché ci sia un “prima” e un “dopo” è necessario che ci si riferisca a “qualcosa” (di diverso dal tempo stesso), ad un “evento”. Spazio e tempo sono accomunati, nella loro esistenza, dalla necessità dell’esistenza della materia: niente materia, niente tempo, niente spazio.
Spazio e tempo hanno però un legame ben più stretto, accertato fin dalla nascita della fisica relativistica; legame talmente stretto da far considerare il tempo una delle dimensioni dello spazio: si parla, difatti, di spazio-tempo. Per capire come possano essere legati dei concetti che, apparentemente, non hanno niente in comune, pensiamo ad un oggetto qualunque: appare evidente che tale oggetto occupa una posizione ben definita nello spazio, che può essere determinata con precisione indicando le distanze da una serie di punti di riferimento (ad es., un tavolo in una stanza avrà una certa altezza rispetto al pavimento e una certa distanza dalle pareti). Tuttavia tale oggetto, pur se in ipotesi immobile, in realtà si sta spostando attraverso il tempo; esso esisteva prima dell’osservazione, a partire dal momento in cui fu creato, ed esisterà dopo l’osservazione, sinché non verrà distrutto. In altre parole, qualunque cosa, oltre che esistere (e muoversi) nello spazio, esiste (e deve muoversi) anche nel tempo. Se così non fosse, se l’oggetto fosse “immobile” nel tempo, esso esisterebbe solo per un istante infinitesimo, per poi sparire nel nulla (e ciò è impossibile per il principio di conservazione dell’energia).
Il tempo, insomma, può essere considerato una dimensione dello spazio, anche se dotata di particolarità tutte sue (muoversi nello spazio non è come muoversi nel tempo).

Si è accennato, in precedenza, alle “dimensioni” dello spazio; cosa e quante sono le dimensioni? Non è facile rispondere a questa domanda, specie considerando i limiti del presente lavoro. Si possono comunque descrivere le dimensioni come gli elementi strutturali dello spazio, i “mattoni” che lo costituiscono. Alcune di esse sono ben note: altezza, larghezza, profondità, tempo. Oltre a queste, però, ne esistono molte altre, che non sono percepibili sensorialmente in quanto esistenti a livello subatomico, ma presiedono a fenomeni subatomici fondamentali per l’esistenza dell’universo come lo conosciamo.
Le dimensioni dello spazio-tempo si dividono in due categorie: quelle bosoniche e quelle fermioniche. Le prime (circa una trentina) consentono degli spostamenti simili a quelli a cui siamo normalmente abituati, nel senso che le condizioni dell’oggetto (ad es., una particella) al termine dello spostamento saranno differenti rispetto a quelle di partenza. Nelle seconde (circa una decina) sono possibili spostamenti senza che l’oggetto modifichi le proprie condizioni iniziali. Non è possibile essere più precisi senza affrontare argomenti (e istituti matematici) terribilmente complessi, ma il succo di questo discorso, per quanto ci interessa, è che la comprensione della struttura dello spazio ha consentito di pervenire alla Grande Unificazione, ossia ad una teoria fisica che renda conto dell’origine comune delle forze fondamentali della natura (Gravitazionale, Elettrodebole, Forte, Repulsiva. Vedi nota n. 14). Tale teoria ha consentito la manipolazione dei campi gravitazionali secondo principi analoghi a quelli usati sin dall’antichità per i campi elettromagnetici, rendendo così possibile la polarizzazione gravitazionale, posta a base non solo della propulsione curvatura, ma anche dei campi gravitazionali artificiali, degli scudi deflettori, dei raggi traenti, degli ammortizzatori inerziali.

Torniamo dunque al problema iniziale: come comprimere ed espandere lo spazio?
La meccanica relativistica descrive lo spazio-tempo come entità quadridimensionale curva. La realtà è più complessa, poiché lo spazio ha ben più di 4 dimensioni, ma poiché tutte le altre sono come “arrotolate” su scala subatomica possiamo, almeno per il momento, non tenerne conto.

Il fatto che lo spazio sia curvo e “plasmabile” ha delle importanti conseguenze per i nostri fini, perché in tale tipo di spazio le distanze non sono “assolute” e la via più breve tra due punti non è necessariamente una retta.
Per visualizzare intuitivamente la struttura dello spazio possiamo ricorrere ad un antico esempio: immaginarlo come un foglio di gomma molto elastico. Su tale foglio poggiano le varie masse dell’universo, particelle, pianeti, stelle ecc. Tali masse “deformano” il foglio di gomma, in misura dipendente dalla loro entità (masse maggiori produrranno una “curvatura” maggiore). Abbiamo perciò scoperto che è la gravità a modellare lo spazio, il quale risulta più curvo nelle regioni più prossime a masse elevate.
La gravità è perciò lo “scalpello” che modella lo spazio. A questo punto è chiaro perché si parla di curvatura: essa è precisamente ciò che indica tale termine, una “deformazione” (warp) dello spazio indotta da un campo gravitazionale.
Ma cosa succede, esattamente, curvando lo spazio?

Qualunque massa, come visto, è in grado di curvare lo spazio: poiché non può esistere spazio senza massa, ne deriva che lo spazio è sempre e necessariamente curvo, benché la curvatura sia maggiore in prossimità delle masse e minore (in ragione del quadrato della distanza12) man mano che ci si allontana da esse.
Qualunque massa o onda in movimento nello spazio deve seguirne necessariamente la geometria, così come un turboascensore non può muoversi al di fuori degli appositi condotti di trasferimento. Quando una massa o un’onda entrano in una regione dello spazio caratterizzata da una particolare curvatura, devono necessariamente percorrerne la struttura.
In tal modo è stata giustificata, in passato, l’attrazione gravitazionale: poiché lo spazio si incurva sempre di più in prossimità di una massa, un corpo entrato in tale regione deve dirigersi verso la massa deformante, percorrendo il “baratro” gravitazionale da essa creato (a meno che non sia in possesso di una velocità sufficiente per “uscirne”).
Appare quindi evidente che, poiché lo spazio non ha una struttura fissa e immodificabile, è possibile “plasmarlo” in modo da adeguarlo alle nostre esigenze. Se vogliamo, ad esempio, percorrere una grande distanza in tempi brevi, possiamo comprimere lo spazio tra il punto di partenza e quello di arrivo (senza spostare questi ultimi, per i motivi che si vedranno). In questo modo non sono più necessarie velocità elevate, e comunque irraggiungibili: è come se prendessimo una scorciatoia… nello spazio stesso, una sorta di galleria che ci consente di evitare la scalata della montagna.

Detto così, ovviamente, è troppo semplice, e troppo bello per essere vero. Vediamo quali sono i terribili problemi da affrontare, e come sono stati risolti.



SEZIONE SECONDA: COME CURVARE A PIACERE LO SPAZIO

Prima di affrontare il problema di come curvare lo spazio secondo i nostri comodi, vediamo cosa succede in natura.
Cominciamo col dire che le curvature prodotte da masse non certamente trascurabili, come pianeti e stelle, sono del tutto insufficienti per i nostri scopi: ad esempio, la massa di una stella di tipo G (come il Sole della Terra) è in grado di deflettere un raggio di luce di circa un millesimo di grado. Ma a noi servono curvature enormemente superiori. Noi non vogliamo semplicemente “piegare” lo spazio, ma “accartocciarlo”. Ci servono perciò curvature ben maggiori di quelle prodotte dalle stelle. Dove prendere la massa (o l’energia) necessaria, se persino quella del Sole risulta insufficiente?

Esistono però in natura curvature dello spazio ben maggiori di quelle prodotte dalle stelle: si tratta delle singolarità (oggi definite con l’aggettivo quantiche, per significare che, a differenza che in passato, si è ormai in grado di determinare gli effetti quantistici della gravità), ossia di regioni dello spazio-tempo caratterizzate da un intenso campo gravitazionale, imprimente una configurazione “a cuspide”, una sorta di baratro non interpretabile con le teorie relativistiche pre-unificazione. In altre parole, la curvatura in una singolarità è talmente accentuata che le lunghezze sono ridotte ad un valore prossimo allo zero, mentre il tempo scorre ad un ritmo pressoché infinito13. Singolarità che si trovano, solitamente, al centro di buchi neri (stelle di grande massa collassate, dotate di un campo gravitazionale talmente intenso da non consentire neppure l’emissione di luce).
Sembrerebbe quindi che, se devo recarmi da A a B e nel tragitto trovo un buco nero, potrei usare lo stesso per accorciare il viaggio, dal momento che nella singolarità lo spazio è compresso sin quasi ad un valore nullo.
Sconsiglio vivamente gli aspiranti navigatori spaziali dal compiere una simile impresa: ci sono forme di suicidio meno complicate, e non implicanti la distruzione di una costosa nave spaziale. Innanzitutto perché lo stesso campo gravitazionale che ci fa il favore di comprimere lo spazio farebbe a pezzi noi e l’astronave ben prima di raggiungere la singolarità. In secondo luogo perché, qualora resistessimo alla gravità usando il campo di integrità strutturale, gli ammortizzatori inerziali e gli scudi deflettori (sinché dura l’energia…), la dilatazione temporale implicherebbe un tempo (per un osservatore esterno al luogo del nostro suicidio) lunghissimo per raggiungere la singolarità, e così la breve durata del viaggio andrebbe a farsi friggere. Dulcis in fundo, una volta raggiunta la singolarità difficilmente potremmo venirne fuori, non potendo con i motori a impulso né raggiungere, né superare la velocità della luce. Come se non bastasse, non andremmo comunque a finire da nessuna parte, perché la singolarità resta dov’è e non si muove certo nella direzione che ci aggrada (e se volessimo spostarla noi dovremmo fare i conti, per dirne una, con la sua formidabile inerzia). Insomma, usare un buco nero per viaggiare nello spazio è un po’ come volere entrare in una stanza passando per il buco della serratura: scomodo, doloroso, inutile!
Ma a noi serve proprio una curvatura del tipo di quelle generate dalle singolarità!

Torniamo al punto di partenza: come curvare lo spazio? Con la gravità. Cos’è che genera la gravità, o se si preferisce i gravitoni, le particelle portatrici della forza gravitazionale? La massa. Per avere il campo gravitazionale di una stella devo per forza disporre della massa di una stella? No! E’ qui che risiede l’inizio della soluzione dei nostri problemi.
In natura, il campo gravitazionale ha simmetria sferica: si estende uniformemente in tutte le direzioni, con intensità decrescente (in proporzione quadratica) rispetto alla distanza dalla sorgente.
Per i nostri fini, questo è un enorme spreco! In natura è bene che le cose vadano così, perché l’universo come lo conosciamo non potrebbe certamente esistere (e noi con lui) se la gravità operasse in una sola direzione. Ma a noi non interessa curvare un enorme volume di spazio, bensì agire solo nella zona che intendiamo attraversare.
La radiazione elettromagnetica si comporta, per certi aspetti, come il campo gravitazionale: anch’essa ha simmetria sferica, anch’essa ha intensità decrescente con il quadrato della distanza. Ma le specie evolute hanno, da molto prima del saper viaggiare nello spazio, appreso come “piegare” la radiazione EM alle proprie necessità, ottenendo onde propagantesi in una direzione prefissata, o luce monocromatica (laser, maser ecc.).
La stessa cosa si è riusciti a fare con la gravità, mediante la polarizzazione gravitazionale. La teoria del Campo Unificato, con cui le forze della natura (Gravitazionale, Elettrodebole, Forte, Repulsiva) vengono descritte come diverse manifestazioni di un unico ente14, ha consentito la manipolazione delle onde gravitazionali con modalità analoghe a quelle conosciute sin dall’antichità con le onde EM. In particolare, è stato possibile porre onde gravitazionali in concordanza di fase15 ed ottenere delle emissioni coerenti, in modo da creare treni d’onda a propagazione lineare.

E’ noto da tempo che particolari leghe metalliche contenenti elementi transuranici di elevatissimo peso atomico (cortenide di verterio, thoronium arkenide) possono emettere gravitoni in condizioni particolari (la cortenide di verterio se esposta a plasma ad alta energia, il thoronium arkenide se posto in rotazione a velocità elevate, in un ambiente di gas chrylon e applicando un’opportuna differenza di potenziale). La prima lega viene utilizzata per le bobine delle gondole a curvatura delle navi spaziali, la seconda per la realizzazione dei generatori di gravità artificiali.
La caratteristica fondamentale di queste leghe è il consentire la trasformazione, con rendimento piuttosto elevato (intorno al 70%) della forza elettromagnetica in forza gravitazionale. Conversione resa vantaggiosa dal fatto che la forza elettromagnetica ha intensità ben superiore a quella gravitazionale (il debolissimo campo magnetico della maggior parte dei pianeti di classe M è sufficiente a spostare l’ago di una bussola, vincendo l’attrazione gravitazionale).
Con procedimenti particolari (vedi la sezione settima) è possibile fare in modo che l’emissione di gravitoni avvenga unicamente lungo una direzione prefissata, e con frequenze predeterminate16. Le onde gravitazionali così emesse sono poste in concordanza di fase, in modo che l’energia della successiva si sommi a quella della precedente, e si concentri in un ristretto volume di spazio.
E’ così possibile realizzare un campo gravitazionale di elevata intensità e limitata estensione, senza dovere disporre della massa necessaria per ottenerne uno di analoga intensità in modo “naturale”. Il consumo di energia necessario è certamente elevato, ma di gran lunga inferiore a quanto teorizzato in epoca pre-curvatura.
A questo punto è evidente che, facendo in modo che il campo gravitazionale (di intensità analoga a quello esistente nelle singolarità) si formi nella direzione di avanzamento della nostra nave, esso provvederà innanzitutto a comprimere la regione di spazio che ci accingiamo ad attraversare, e in secondo luogo si sposterà con la nave stessa, comprimendo regioni di spazio poste in successione, senza soluzione di continuità.
Tale risultato, però, rappresenta solo il primo passo, fondamentale ma insufficiente. Il nostro bravo campo gravitazionale portatile e regolabile ha sempre i difetti dei suoi colleghi naturali: la sgradevole tendenza a fare a pezzi noi e la nostra povera nave, incurante del fatto che siamo i suoi genitori, e l’effetto relativistico di dilatazione temporale (della contrazione delle lunghezze non è il caso di curarsi troppo, con le altre grane che abbiamo), che prolunga la nostra agonia con la dilatazione temporale, anche se non quanto una singolarità, perché una volta distrutto il generatore, il campo gravitazionale morirà dopo di noi. Magra consolazione.
Ma cos’altro serve, allora, per realizzare un campo di curvatura utile ai nostri scopi?



SEZIONE TERZA: IL CAMPO DI CURVATURA

Per poter sfuggire al pozzo gravitazionale creato davanti alla nostra nave per comprimere lo spazio davanti a noi, è necessario creare un “antipozzo” dietro, in modo che la compressione venga bilanciata dall’espansione (che dovrà avere pari intensità e “segno” opposto) e la nave venga sospinta su tale “onda” di spazio-tempo modificato, passata la quale lo spazio tornerà alla sua struttura normale. Comprimendo lo spazio nella direzione anteriore riduciamo la distanza dal punto di arrivo, ossia ci “avviciniamo” (benché, lo si ripete, la posizione del punto di arrivo non muta, poiché operiamo solo sullo spazio intermedio); espandendo lo spazio nella direzione opposta, invece, ci “allontaniamo” dal punto di partenza, sfuggendo al baratro gravitazionale creato davanti a noi (senza necessità di alcuna accelerazione).
La regione compresa tra il fronte di compressione e quello di espansione è detta, con espressione pittoresca, bolla di curvatura, e mantiene le condizioni di un qualunque sistema di riferimento in moto alla stessa velocità. In altre parole, le masse ivi presenti non subiscono né gli effetti relativistici sopra descritti (aumento di massa, dilatazione del tempo ecc.), né effetti inerziali, poiché la velocità posseduta precedentemente all’ingresso in curvatura NON MUTA.
Così come la compressione locale dello spazio viene realizzata mediante emissioni di treni di onde gravitazionali coerenti, l’espansione nella regione opposta viene ottenuta tramite emissioni coerenti di warpers, particelle bosoniche portatrici della Forza Repulsiva.

La Forza Repulsiva, come detto nella nota 14, è una delle forze fondamentali della natura (l’ultima, solitamente, ad essere scoperta), e manifesta la sua azione in presenza di elevate concentrazioni di massa (o di energia). Tale forza è inferiore, come ordine di grandezza, all’attrazione gravitazionale, e difatti in condizioni normali non è in grado di contrastarne significativamente gli effetti. Quando però i campi gravitazionali sono di tale intensità da renderne non trascurabili gli effetti quantistici (come avviene nelle singolarità, e nei campi di curvatura), essa è in grado di opporsi al collasso infinito della materia (il volume delle singolarità, difatti, è piccolo, ma non nullo). Ciò fornisce una giustificazione del noto paradosso della meccanica relativistica pre-unificazione, la quale non era in grado di chiarire come la curvatura dello spazio-tempo assumesse nelle singolarità un valore infinito, senza che la massa collassante, per effetto dell’accelerazione gravitazionale sempre crescente, raggiungesse o superasse la velocità della luce. La forza repulsiva, insomma, pone un limite “di sicurezza” alla comprimibilità della massa.

Gli warpers, particelle vettori della forza repulsiva, agiscono insomma come una sorta di gravità negativa. La loro “gestione” nel campo di curvatura è in buona parte analoga a quella dei gravitoni: normalmente, per ottenere una significativa quantità di warpers sarebbe necessario disporre di concentrazioni di massa elevatissime, persino superiori a quelle richieste per i campi gravitazionali delle singolarità. Nel campo di curvatura, tuttavia, gli warpers si formano come “sottoprodotto” della creazione dei treni d’onda gravitazionali coerenti, e tendono a muoversi nella direzione opposta: un’elevata concentrazione di gravitoni polarizzati, generati dal punto P e concentrati ad una distanza D da esso, produce un’analoga concentrazione di warpers ad una distanza –D da P, ossia dalla parte opposta. In P, che poi sarebbe la nostra astronave, il campo gravitazionale è “normale”, ossia identico a quello locale, non generato dal campo di curvatura. Andando in avanti, seguendo il treno d’onda di gravitoni, il campo gravitazionale aumenta d’intensità, sino a raggiungere il valore massimo, detto CUP (Curvatura Utile Positiva) nella regione in cui i treni d’onda entrano in concordanza di fase. Dall’altra parte, viceversa, il campo di espansione raggiunge il valore massimo nella regione in cui gli omologhi treni di warpers coerenti entrano a loro volta in concordanza di fase; il campo di espansione raggiunge in tale punto il valore massimo, detto CUN (Curvatura Utile Negativa).
A questo punto il lettore attento avrà notato immediatamente un problema: si è detto in precedenza che la forza repulsiva opera su un ordine di grandezza inferiore rispetto a quella gravitazionale. Per la precisione, o meglio per fornire un’approssimazione accettabile in questa sede, il rapporto tra le due forze è pari a circa 1/1000: se occorre un’energia E per produrre un campo gravitazionale di una data intensità, occorrerà circa 1000 volte quell’energia per produrre un campo di espansione (o repulsione che dir si voglia) di intensità analoga, ossia in grado di produrre un’espansione bilanciante esattamente la compressione. A ciò si pone rimedio con due sistemi: in primo luogo alterando la simmetria del campo, e precisamente facendo in modo che il CUN abbia una distanza dalla sorgente pari a circa 1/10 di quella del CUP. In secondo luogo, mediante un treno d’onda supplementare di warpers, che posto in opportuna concordanza di fase con quello principale fa assumere al CUN il valore necessario per bilanciare la compressione generata dal CUP.
Peraltro, non è necessario che CUP e CUN abbiano valori (in modulo) identici, esiste un margine di tolleranza che non influisce significativamente sull’effetto “propulsivo”, margine che però si riduce al crescere della tensione del campo di curvatura, e tende a 0 all’approssimarsi del limite teorico (secondo la scala attualmente vigente) di curvatura 10.

Quando però il margine di tolleranza non viene rispettato, e supera il valore soglia oltre il quale la contrazione dello spazio non è più bilanciata dall’espansione, si verifica il noto “effetto cavitazione”17.
Per comprendere appieno l’effetto cavitazione, occorre precisare che, all’interno del campo di curvatura, per ragioni che formano tuttora oggetto di studio, la costante gravitazionale assume un valore inferiore al normale. La massa inerziale della nave, di conseguenza, è molto inferiore a quella posseduta in condizioni normali. La nave, tuttavia, conserva per inerzia la velocità posseduta al momento dell’ingresso in curvatura. Poiché tale velocità è di solito pari ad una frazione significativa di quella della luce (in ragione dell’uso della propulsione ad impulso nelle fasi di allontanamento e avvicinamento ai pianeti), quando la nave entra in cavitazione la spinta inizialmente posseduta fa accelerare la nave a velocità prossime a quella della luce18, come se fosse diventata improvvisamente “più leggera”.
Un’ulteriore accelerazione viene impressa alla nave dal CUP, che, non più bilanciato correttamente dal CUN, esercita una forte attrazione gravitazionale, applicando sulla nave una forza che, in base alla seconda legge della Dinamica, ne incrementa la velocità.
La nave si trova pertanto esposta a subire i noti effetti relativistici delle alte velocità (dilatazione del tempo, contrazione delle lunghezze).
Poiché le navi della Flotta Stellare non sono progettate per sopportare a lungo simili velocità, che comportano, oltretutto, gravi pericoli per l’equipaggio (come visto nella Sezione Prima), il computer di bordo, in caso di cavitazione, interrompe immediatamente l’iniezione del plasma nelle bobine delle gondole19, con conseguente collasso del campo di curvatura. La nave riacquista gradatamente la massa inerziale “normale”, e la velocità diminuisce sino al valore precedente l’ingresso in curvatura (il tempo necessario è pari, mediamente, a circa 30 secondi). Sempre per motivi di sicurezza, i controlli di volo vengono disabilitati (una virata imporrebbe alla nave severissimi stress strutturali), per cui eventuali oggetti che si trovano sulla traiettoria della nave, che non possano essere deviati dai deflettori di navigazione a causa della grande massa (ad esempio, piccoli asteroidi) devono essere immediatamente distrutti.

Torniamo al campo di curvatura. Poiché esso produce tensioni gravitazionali elevatissime, appare ovvio che debba essere generato ad una distanza di sicurezza dalla nave. Le gondole, contenenti le bobine generatrici del campo, sono solitamente collocate ai lati della nave, ad una distanza tra loro non inferiore a 0,8 volte la larghezza del resto dello scafo (una distanza leggermente superiore è ammessa per le navette, in ragione della bassa potenza del campo warp), e posizionate in modo che i treni d’onda emessi non entrino in contatto con le strutture dell’astronave.
La propulsione a curvatura deve inoltre essere attivata in regioni di spazio quanto più vuote possibile, e ciò per una serie di ragioni.
Innanzitutto, la compressione dello spazio implicherebbe consumi energetici immensamente elevati qualora la regione ove si forma il CUP non fosse (ragionevolmente) vuota: la compressione della materia (che, lo si ricorda, è già “spazio-tempo compresso”) è infatti molto più difficile di quella dello spazio vuoto, anche per effetto della Forza Repulsiva, per cui i motori si surriscalderebbero rapidamente oltre i limiti di sicurezza.
Va poi considerato che il CUP è pur sempre un campo gravitazionale, e di intensità elevatissima; di conseguenza, ove lo spazio non fosse vuoto, le masse circostanti, specie se modeste, verrebbero attirate con enorme forza e scagliate contro la nave, con conseguenze facilmente immaginabili. Non solo: le tensioni gravitazionali farebbero a pezzi tali masse per “effetto marea”20, ed è chiaro quali sarebbero le conseguenze se si trattasse di navi spaziali21. Usare il campo warp come arma non è comunque vantaggioso, perché la pioggia di detriti accelerati ad altissima velocità (tra cui il nucleo di curvatura e le riserve di antimateria della nave distrutta!) renderebbe decisamente breve, ed assai cara, la vittoria ottenuta!



SEZIONE QUARTA: LA VELOCITA’ DI CURVATURA.

L’unità di misura dell’intensità del campo di curvatura è il cochrane (C), in omaggio allo scienziato terrestre Zephram Cochrane, inventore del motore a curvatura. Per misurazioni maggiormente accurate viene utilizzato il sottomultiplo millicochrane (mC), pari a 1/1000 di cochrane.
Si assume pari ad un cochrane un campo di curvatura che produca una velocità virtualmente pari a quella della luce. Si parla di velocità virtuale in quanto, come visto, la propulsione curvatura opera sullo spazio-tempo, non sulla nave: il termine velocità è dunque usato in modo atecnico, per descrivere l’effetto propulsivo del campo warp. In pratica, si adotta il punto di vista di un ipotetico osservatore esterno, il quale “vede” la nave spostarsi a velocità pari o superiori a quella della luce, non essendo solidale col sistema di riferimento rappresentato dalla nave stessa. E’ superfluo dire che si tratta di un paragone fittizio, dal momento che un oggetto in moto a velocità superiore a quella della luce è ovviamente invisibile.
La velocità curvatura viene espressa in multipli della velocità della luce.
L’effetto propulsivo viene calcolato con una funzione cubica:

v = (aw3 + λ)c

dove v è la “velocità di curvatura”, w è il fattore warp, ossia il grado di compressione – espansione dello spazio determinato dal campo di curvatura ed espresso in cochrane, a è una costante, lambda assume valori diversi a seconda dei fattori warp, e viene determinato empiricamente, c è la velocità della luce in km/s.
Per w = 1 cochrane, come detto, la velocità di curvatura è pari a quella della luce, nel senso che l’effetto propulsivo consente di spostare la nave ad una velocità che, nello spazio normale, sarebbe pari a circa 300.000 km/s, senza effetti relativistici apprezzabili.
Per w = 2 cochrane, la velocità warp è pari a 10 volte quella della luce; per w = 3, v = 39c; per w = 4, v = 102c; per w = 5, v = 214c; per w = 6, v = 392c; per w = 7, v = 656c; per w = 8, v = 1024c; per w = 9, v = 1516c; per w = 9.6, v = 1909c; per w = 9.9, v = 3053c; per w = 9.99, v = 7912c; per w = 9.9999, v = 2377360c; per w = 10 la velocità è infinita, ossia il tempo di arrivo a destinazione è nullo. Si tratta di un limite teorico, irraggiungibile allo stato attuale delle conoscenze.



SEZIONE QUINTA: CURVATURA E PARADOSSI RELATIVISTICI

La propulsione a curvatura consente di spostarsi in tempi brevi su distanze interstellari aggirando il limite relativistico della velocità della luce. Occorre a questo punto esaminare alcuni dei cosiddetti paradossi relativistici, connessi all’impossibilità del superamento della velocità della luce e al comportamento dei corpi materiali all’approssimarsi a tale velocità.
Come si illustrerà in proseguo, si tratta di paradossi soltanto apparenti, e dovuti all’equivoco del confondere il limite c con l’impossibilità di inviare informazioni eludendo tale limite.

Causa-effetto.
Cominciamo col principio del sovvertimento del rapporto causa – effetto. Supponiamo che sul pianeta X avvenga l’estrazione di una lotteria, e l’informazione sui numeri estratti debba essere trasmessa sul pianeta Y, distante un anno luce, dove si trova il giocatore interessato. Normalmente, il giocatore saprà quali numeri sono stati estratti un anno dopo l’effettiva estrazione, dal momento che l’informazione, trasmessa mediante radiazioni elettromagnetiche (mettiamo da parte le trasmissioni subspaziali), impiega questo tempo per raggiungerlo. Se però un viaggiatore spaziale, usando una nave a curvatura, gli comunica il risultato dell’estrazione prima del decorso dell’anno, ecco che il giocatore conosce un evento che ancora appartiene al “suo” futuro, e può cominciare a far spese… prima della vincita.
Oppure, per fare un altro esempio, supponiamo che a 10 anni luce dal pianeta P esploda una supernova: gli abitanti di P sapranno dell’evento solo dopo 10 anni. Ma se il solito viaggiatore spaziale con nave a curvatura li va ad avvisare prima che la luce (e le radiazioni) della nova li raggiungano, ecco che consente loro di salvarsi da un evento che esiste solo nel “loro” futuro.
In entrambi i casi, il paradosso consisterebbe nel fatto che le azioni del giocatore del pianeta Y e degli abitanti del pianeta P siano influenzate da eventi per loro ancora non accaduti. Difatti, poiché per la relatività classica nessuna informazione può essere trasmessa nell’universo a velocità superiore a quella della luce, i soggetti in questione non hanno alcun modo di conoscere gli avvenimenti citati, né di sapere della contemporaneità, rispetto al loro sistema di riferimento, dell’estrazione della lotteria o dell’esplosione della supernova. Alla base del paradosso sta l’asserita impossibilità, per osservatori molto distanti tra loro, di sapere se un dato evento sia o meno contemporaneo per entrambi. Questo perché nella relatività classica dall’insuperabilità della velocità della luce veniva desunto il corollario dell’impossibilità della trasmissione di informazioni a velocità superiore, sia pure in altro modo. Corollario che la propulsione warp ha dimostrato essere falso.

Da come sono costruiti gli esempi appare difatti chiaro che il paradosso è soltanto apparente. L’estrazione della lotteria e l’esplosione della supernova sono difatti avvenuti PRIMA che l’informazione fosse ricevuta dagli interessati, per cui il principio di causalità viene pienamente rispettato.

Spostamento Doppler e contrazione delle lunghezze.
L’effetto Doppler è quel fenomeno in base al quale, data una sorgente di onde in moto rispetto ad un osservatore, questo percepisce un aumento della frequenza delle onde quando la sorgente si avvicina a lui e una diminuzione quando se ne allontana. Se si tratta di onde luminose, l’osservatore registrerà uno spostamento verso il violetto dello spettro della luce ricevuta in caso di avvicinamento della sorgente, e uno spostamento verso il rosso in caso di allontanamento.
Le gondole di curvatura delle navi della Federazione emettono una caratteristica luce bluastra, dovuta all’emissione di fotoni aventi lunghezza d’onda di circa 4000 Angstrom22, rappresentanti un innocuo residuo del processo di generazione del campo di curvatura.
Osservando una nave che entra in curvatura, un osservatore fermo ai principi della relatività classica noterà immediatamente due fenomeni che appaiono contraddire le leggi della fisica: innanzitutto percepirà come bluastra la luce emessa dalle gondole, mentre in base all’effetto Doppler questa, al pari delle luci di navigazione e di quella proveniente dagli oblò della nave, dovrebbe apparire decisamente rossastra (considerato il fatto che la nave “accelera” in pochi istanti a “velocità” estremamente alte). In secondo luogo osserverà la nave “allungarsi” nella direzione dell’accelerazione, in netto contrasto col il principio relativistico della contrazione delle lunghezze nel senso del moto.
La chiave di tali paradossi consiste nell’espansione dello spazio determinata dal campo di curvatura. L’osservatore che percepisce la nave allontanarsi si trova, ovviamente, nella regione interessata dal campo di espansione: le onde luminose che viaggiano nello spazio espanso subiscono, per effetto dell’espansione, uno spostamento verso il violetto tale da compensare quello verso il rosso dovuto all’effetto Doppler. Per le stesse ragioni le immagini appaiono distorte, allungate nella direzione del moto. D’altra parte, poiché come detto più volte, la propulsione a curvatura non sposta la nave (che, al limite, potrebbe essere in quiete rispetto all’osservatore), non vi è alcuna contrazione relativistica nel senso del moto.

Effetto “stelle filanti”.
Chiunque abbia viaggiato su una nave con propulsione a curvatura avrà notato il caratteristico e suggestivo effetto delle strisce luminose attorno alla nave.
Secondo il solito osservatore fermo alla relatività classica, a bordo di una ipotetica nave in moto a velocità superluce non si dovrebbe vedere alcun panorama esterno, dal momento che le onde luminose provenienti dagli oggetti esterni non possono raggiungere la nave.

Sappiamo però che la nave non si muove, in realtà, più veloce della luce, per cui è senz’altro possibile la percezione del panorama esterno.
Tuttavia, quando le onde luminose provenienti dall’esterno entrano nella zona di azione del campo di curvatura, subiscono una deviazione verso il CUP, a causa del forte campo gravitazionale23. Di conseguenza, si ha un mutamento della posizione apparente della stella. Poiché il CUP si sposta insieme alla nave, l’osservatore a bordo vede mutare le posizioni apparenti delle stelle. La frequenza dei mutamenti, superiore ai 10 per secondo, è sufficiente ad impressionare la retina della maggior parte delle forme di vita umanoide, generando la percezione di una scia luminosa.
L’effetto cessa con la disattivazione del campo di curvatura.



SEZIONE SESTA: CURVATURA E TUNNEL SPAZIALI.

Nelle singolarità quantiche la deformazione dello spazio-tempo raggiunge un livello talmente elevato da creare una sorta di pozzo gravitazionale. Per riprendere l’antico esempio citato in precedenza, si immagini lo spazio-tempo come un foglio di gomma. La masse dei pianeti e delle stelle provocano su tale foglio degli “infossamenti”, tanto più profondi quanto maggiore è la massa deformante. Nel caso delle singolarità, l’infossamento è un vero e proprio “baratro”.
Che succede se tale baratro entra in contatto con un altro analogo? Se, in altre parole, le deformazioni dello spazio-tempo generate da due (o più) singolarità sono contigue? Si crea ciò che con espressione pittoresca viene definito “tunnel spaziale”, una sorta di cunicolo nello spazio-tempo, in grado, teoricamente, di consentire l’attraversamento di vaste regioni dello spazio in tempi brevissimi.
Ci sono soltanto due piccoli problemi: in primo luogo i tunnel spaziali naturali sono fortemente instabili, e questo comporta il pericolo di essere distrutti dalle forze mareali di una delle singolarità prima di averli attraversati. In secondo luogo i campi gravitazionali delle singolarità, essendo molto ospitali, farebbero di tutto per non farci andare via (fortuna che abbiamo la propulsione a curvatura). Avventurarsi in un tunnel spaziale naturale può essere pertanto un’esperienza molto sgradevole.
Ma nel caso in cui si riuscisse a “stabilizzare” un tunnel spaziale (ad esempio, mediante immissione di warpers per tenerlo aperto e di verteroni per impedire la scissione dei due “baratri” spaziotemporali), oppure a crearne uno artificiale (come quello nel sistema di Bajor, che attualmente è l’unico noto), avremmo realizzato un sistema di spostamento ancora più rapido della propulsione a curvatura, e non contrastante con la previsioni della relatività, se non per il fatto di consentire la trasmissione di informazioni aggirando il limite della velocità della luce.
Ci sono però altri problemi. I campi gravitazionali delle singolarità hanno effetti anche sul tempo, e un viaggio in un tunnel spaziale rischierebbe di condurci in un’epoca diversa da quella di partenza. Effetto che non è possibile prevedere con esattezza, sino a quando la tecnologia non consentirà di produrre tunnel artificiali del tutto controllabili.
Per inciso, si ritiene che la propulsione transcurvatura utilizzata dai Borg utilizzi tunnel spaziali artificiali, all’interno dei quali è possibile raggiungere velocità di curvatura prossime a 10.
Inoltre le estremità del tunnel non sono certo fisse nello spazio, si spostano in continuazione, pertanto il tunnel ha entrate e uscite sempre diverse.
Riassumendo, nella propulsione a curvatura si ha una distorsione temporanea e localizzata dello spazio-tempo, nei tunnel spaziali la distorsione è permanente, e dura sinché dura il tunnel.



SEZIONE SETTIMA: IL MOTORE A CURVATURA.

Esaurita la trattazione teorica della propulsione a curvatura, concludiamo questo saggio con una sommaria analisi del funzionamento di un motore a curvatura. Si prenderà come riferimento un modello base, senza fare riferimento ad alcuna nave in particolare, e si eviterà un livello di dettaglio e di tecnicismo eccessivi.

I componenti fondamentali del motore a curvatura sono i seguenti:

A) Sistema di stoccaggio e trasferimento dei Reagenti.
B) Nucleo.
C) Gondole.


A) Sistema di stoccaggio e trasferimento dei Reagenti.

La generazione del campo di curvatura avviene, secondo la tecnologia attuale, esponendo una particolare lega metallica contenente elementi transuranici pesantissimi (detta cortenide di verterio) a plasma ad alta energia. Gli ioni contenuti nel plasma, interagendo con i nuclei atomici, provocano l’emissione di verteroni (gravitoni polarizzati), i quali si irradiano in senso parallelo all’asse della bobina di curvatura, e l’emissione di warpers in senso opposto.
Il plasma viene generato mediante una reazione di annichilazione tra materia ed antimateria. L’antimateria, difatti, è la sostanza in grado di fornire la resa energetica più elevata rispetto al suo volume: nelle reazioni di fusione nucleare che alimentano i motori a impulso soltanto lo 0.8% della massa si trasforma in energia. Nel processo di annichilazione, invece, la massa coinvolta nella reazione è pari, praticamente, al 100%.
I reagenti utilizzati per la produzione del plasma, nonché di buona parte dell’energia necessaria per il funzionamento della nave, sono da un lato il deuterio e dall’altro un gas di ioni di anti – idrogeno.
Il deuterio è un isotopo dell’idrogeno avente il nucleo formato da un protone e un neutrone. Tale reagente viene conservato a bassa temperatura ed elevata pressione al fine di limitarne l’elevata volatilità. Per lo stesso motivo viene immesso nel nucleo mediante condotti dotati di campi magnetici di confinamento (toroidi di restrizione), i quali sfruttano per il contenimento la polarizzazione della molecola di deuterio in movimento (il nucleo, più pesante, resta indietro, per cui la molecola presenta una carica positiva nella regione posteriore e una negativa in quella anteriore). Nella miscela sono anche presenti, in percentuale minore, trizio, elio e argon.
L’anti – idrogeno è formato in buona misura da antiprotoni e, in percentuale minore, da nuclei di anti – deuterio e anti – trizio24. Nella miscela sono presenti anche anti – ioni H3O-.
L’antimateria viene prodotta negli impianti di realizzazione del propellente dei cantieri navali della Flotta Stellare. La fabbricazione avviene con un processo di conversione controllata dell’energia in materia (con sistemi analoghi a quelli usati nel teletrasporto), mediante il quale nella rimaterializzazione vengono prodotte soltanto antiparticelle. Tale sistema di produzione, in uso da circa 300 anni, ha sostituito quello precedente, estremamente costoso e inefficiente, che utilizzava gli acceleratori di particelle.
Ai fini del confinamento, è essenziale che l’antimateria venga immagazzinata in forma di ioni e non di atomi neutri: i campi magnetici di confinamento non hanno difatti effetto su particelle neutre, con le conseguenze facilmente immaginabili.
Di solito l’antimateria viene immagazzinata nella parte inferiore della nave, per facilitare le operazioni di rifornimento; in caso di emergenza i contenitori possono essere espulsi. Essi sono dotati di generatori autonomi di emergenza in grado di mantenere il campo di confinamento per diversi minuti, dando tempo alla nave di allontanarsi.
L’immissione nella camera di reazione (detta nucleo del motore di curvatura, in breve nucleo di curvatura) avviene, come nel caso del deuterio, mediante condotti isolati magneticamente (toroidi di restrizione), dotati della stessa polarità (negativa) degli anti ioni.
La quantità di antimateria immagazzinata a bordo di una nave stellare dipende, ovviamente, dalla classe. Nelle navi di classe Galaxy un “pieno” di antimateria corrisponde a circa 5 tonnellate, e assicura un’autonomia media di 3 anni (utilizzando la propulsione a curvatura per il 10% del tempo a viaggiando, in media, a curvatura 6).
E’ inoltre possibile, in caso di emergenza, la produzione a bordo di piccole quantità di antimateria, da utilizzare in caso di esaurimento delle scorte. A tal fine vengono utilizzati i Collettori Bussard, dispositivi collocati alle estremità delle gondole e generanti un intenso campo magnetico (che non interferisce con quello di curvatura, essendo di livello energetico estremamente inferiore) per raccogliere le particelle cariche dallo spazio esterno. Si tratta di un processo inefficiente, perché l’energia necessaria per la conversione delle particelle in antimateria supera quella ottenuta dall’antimateria prodotta (a tal fine vengono utilizzati gli accumulatori di riserva e i reattori a fusione dei motori a impulso). L’uso di tali dispositivi è difatti estremamente raro, e limitato a condizioni di emergenza. Le particelle raccolte vengono teletrasportate nei contenitori di antimateria, rimaterializzandole con inversione della carica e dei numeri quantici.


B) Nucleo di curvatura.

Il nucleo di curvatura è la zona del motore ove avviene la reazione di annichilazione tra materia ed antimateria, e dove viene quindi prodotto il plasma necessario per l’attivazione delle bobine di curvatura.
La reazione di annichilazione viene controllata attraverso la regolazione della quantità di reagenti immessa nel nucleo e delle percentuali di materia e di antimateria. Il controllo della miscelazione, estremamente complesso, viene definito Intermix.
La gestione dell’Intermix (detta formula dell’Intermix) è fondamentale per ottenere l’effetto propulsivo. Per ottenere del plasma non è difatti possibile limitarsi ad immettere un’identica quantità di materia ed antimateria, che produrrebbe soltanto radiazioni gamma. La quantità di materia immessa deve essere maggiore dell’antimateria, al fine di ottenere del gas ionizzato. Le percentuali variano da 25:1 a, eccezionalmente, 1:1, quando è necessario energizzare il plasma.
I reagenti vengono immessi nel nucleo di curvatura tramite condotti dotati di campi magnetici di contenimento (toroidi di restrizione). L’ingresso e la quantità dei reagenti immessi vengono controllati da una coppia di cristalli di dilitio.
Il dilitio (composto avente formula grezza 2[5]6 dilitio – 2[:]1 – diallosilicato – 1[9]1 – eptoferranuro) è un cristallo rinvenibile in natura sulla superficie di pianeti esposti ad alti livelli di radiazioni (ad esempio, da esplosioni di supernova). Nel 24° secolo ne è tuttavia possibile la produzione artificiale. Esso ha la peculiare caratteristica di potere essere attraversato da ioni di anti idrogeno senza dar luogo a processi di annichilazione, quando al cristallo viene applicata un’opportuna differenza di potenziale. La struttura del cristallo è difatti tale che gli anti ioni vengono instradati attraverso “corridoi” creati dai campi elettromagnetici degli elettroni del cristallo, attraversandone la struttura senza interagire con le particelle. La quantità di antiparticelle che è possibile immettere attraverso il cristallo dipende dalla tensione applicata allo stesso; al crescere della stessa, difatti, è possibile immettere una maggior quantità di antimateria, in ragione della maggiore “tenuta” dei corridoi elettromagnetici.
Quando ai cristalli non è applicata alcuna tensione, non è possibile l’immissione di antiparticelle senza innescare il processo di annichilazione. In tale condizione i toroidi di restrizione sono sigillati alle estremità, e nessun reagente viene immesso nel nucleo.
Una volta applicata la tensione utile, gli estremi inferiori dei toroidi vengono disattivati, e i reagenti possono essere immessi nel nucleo. I cristalli di dilitio funzionano, in sostanza, come “rubinetti” che consentono una regolazione “fine” del flusso dei reagenti (mentre con i campi di contenimento sarebbe possibile soltanto una regolazione del tipo aperto – chiuso). Se i cristalli di dilitio, per qualsiasi ragione, non sono operativi, i sistemi di sicurezza impediscono l’immissione dei reagenti. Se difatti la quantità degli stessi non venisse debitamente controllata, la produzione di energia sarebbe eccessiva ed incontrollata, mettendo in serio pericolo l’incolumità della nave.
I cristalli potevano essere utilizzati, in passato, per circa 6 mesi prima che fosse necessaria la loro sostituzione, in ragione della destrutturazione dell’edificio cristallino conseguente all’uso. Attualmente è possibile la ricristallizzazione artificiale, che ne prolunga la durata a diversi anni.
Il nucleo di curvatura ha forma di doppio cono tronco unito per le due basi maggiori. Le pareti sono in duranio25 (lo stesso materiale usato per lo scafo delle astronavi), con spessore medio solitamente non inferiore a 45 cm. All’interno del nucleo, potenti campi magnetici impediscono il contatto del plasma con le pareti. I flussi dei reagenti si incontrano nella regione centrale del nucleo. Le antiparticelle si annichilano con le particelle, producendo radiazioni gamma ad alta energia (per ogni coppia protone – antiprotone vengono prodotti 3 fotoni gamma). Tali radiazioni, unitamente alle elevate condizioni di temperatura e pressione, ionizzano l’idrogeno immesso in eccedenza rispetto all’antimateria. Il gas, grazie all’elevata pressione, viene immesso nei due condotti di trasferimento che dal nucleo conducono il plasma all’EPS (Electro Plasma System), il sistema di distribuzione controllato che conduce il gas ionizzato alle gondole e, in percentuale minore, lo rende disponibile per le esigenze energetiche della nave. In situazioni di emergenza è possibile deviare il plasma per alimentare i sistemi richiedenti una quantità di energia superiore ai normali ranges operativi (scudi deflettori, campo di integrità strutturale).
Il nucleo di curvatura è l’unica zona della nave dove materia ed antimateria entrano in contatto, e il suo corretto funzionamento, soprattutto in punto di contenimento, è oggetto di monitoraggio costante in tempo reale, sia da parte del sistema computerizzato che dal personale addetto della sala macchine. L’indebolimento del campo di confinamento al di sotto della soglia di sicurezza è definito “rottura del nucleo” e, ove non tempestivamente riparato, pone in serio pericolo l’incolumità della nave: la fuoriuscita di plasma e di radiazioni ad alta energia, oltre ad essere letale, provoca la distruzione dei sistemi locali di confinamento, con conseguente fuoriuscita incontrollata dell’antimateria e distruzione della nave. Per evitare queste conseguenze, il nucleo può essere espulso nello spazio con procedura automatica o manuale (se la gravità del danno è tale da non consentire l’intervento umano, il computer procede immediatamente alla sequenza di espulsione). Il tempo necessario per l’espulsione è di circa 8 secondi. Insieme al nucleo vengono espulsi i tratti terminali dei toroidi di costrizione (che spesso risultano danneggiati dalla fuoriuscita di plasma e radiazioni), mentre le estremità dei condotti di trasferimento dei reagenti e del plasma vengono sigillati magneticamente. Il nucleo ha un autonomo campo di confinamento di emergenza, che assicura il contenimento sinché possibile, in attesa della procedura di espulsione o, se questa non fosse possibile, dell’abbandono della nave. Normalmente il campo interno di emergenza riesce a mantenere il confinamento per circa 5 minuti.
Una nave priva del nucleo non è in grado di spostarsi a velocità di curvatura, ed ha autonomia energetica limitata ai reattori a fusione utilizzati per la propulsione ad impulso e agli accumulatori.
In condizioni normali di funzionamento, il nucleo è perfettamente isolato e non emette radiazioni pericolose. E’ perciò possibile lavorare nelle sue vicinanze, e anche toccarlo: la temperatura esterna è pari a quella ambientale, mentre quella interna varia tra i 2000 e i 180.000 gradi Kelvin. La pressione media all’interno del nucleo è di circa 700 bar.


C) Gondole.

Il campo di curvatura, ossia l’emissione di treni d’onda di warpers e di verteroni in direzioni opposte, è generato esponendo al plasma (preventivamente raffreddato) le bobine di curvatura, ospitate nelle gondole.
Le gondole sono strutture gemelle, di forma oblunga e di massa pari, mediamente, al 20-25% di quella totale della nave. Sono poste ai lati dello scafo, collegate da piloni di sostegno. Il numero di gondole è solitamente pari a 2, benché alcune classi di navi ne utilizzino 4 (soluzione poco diffusa, giacché a fronte di un notevole aumento della complessità della struttura della nave non si ottengono apprezzabili vantaggi rispetto al modello classico). La distanza tra gli assi delle gondole è solitamente non inferiore a 0.8 volte la larghezza dello scafo (leggermente maggiore per le navette).
L’uso di coppie di gondole è necessario per due motivi: 1) le bobine devono essere esterne alla nave, per non sottoporre l’equipaggio agli effetti del campo warp, e l’uso di una sola bobina produrrebbe un campo asimmetrico rispetto allo scafo; 2) i campi prodotti dalle bobine si sovrappongono, creando un unico campo maggiormente stabile ed intenso. L’introduzione di opportune asimmetrie tra i campi consente inoltre alla nave di manovrare anche a velocità di curvatura, nel caso si rendano necessarie correzioni di rotta o manovre di emergenza.
Nelle gondole sono ospitate le bobine di curvatura, i sistemi di iniezione e recupero del plasma, le strutture accessorie. Alle estremità anteriori delle gondole sono collocati i Collettori Bussard, di cui si è parlato in precedenza.
Le bobine di curvatura si dividono in primarie e secondarie: le prime sono quelle normalmente utilizzate per la propulsione. Le seconde, autonome, vengono impiegate in caso di danni alle prime.
Le bobine hanno forma toroidale e sono disposte lungo l’asse della gondola, perpendicolarmente allo stesso, in dimensioni e numero variabile a seconda della classe della nave. Esse sono composte di cortenide di verterio.
Il verterio è un elemento transuranico di peso atomico 1216,07 e caratteristiche metalloidi. Si tratta di un elemento artificiale di elevatissima instabilità. La stabilizzazione avviene con procedimenti particolari, mediante i quali gli atomi di verterio vengono inseriti al centro di reticoli di una lega composta da cobalto, rodio, titanio, tecnezio e, in piccola percentuale, da altri elementi transuranici (di peso atomico molto minore) stabilizzati. Il composto risultante viene detto cortenide di verterio.
Quando la bobina viene esposta all’azione del plasma ad alta energia, emette warpers e verteroni in direzioni opposte. Gli ioni contenuti nel plasma causano un collasso della struttura reticolare della cortenide di verterio, che subisce un repentino aumento di densità; cessata l’esposizione al plasma, la lega riprende la struttura originaria a causa delle forze repulsive delle nubi elettroniche degli atomi. Nella fase di densificazione vengono emessi verteroni lungo l’asse maggiore della bobina, in quella di espansione warpers in senso opposto. Ogni fase dura circa 18 millisecondi, per cui l’emissione di warpers e verteroni è quasi sincrona (il ritardo non ha conseguenze apprezzabili sull’effetto propulsivo). Le caratteristiche fisiche della cortenide di verterio, e la disposizione degli iniettori rispetto alle bobine, fanno in modo che i gravitoni e gli warpers si irradino in una sola direzione, parallela all’asse della bobina.
Ogni bobina è servita da quattro serie di iniettori di plasma, disposte a 90 gradi tra loro, in modo da potere variare la struttura del campo warp abilitando o disabilitando una (o più) serie, al fine di far manovrare la nave a velocità di curvatura. Gli iniettori vengono attivati in sequenza, con cicli e frequenze dipendenti dalle necessità di manovra e propulsione, in modo che i verteroni e gli warpers entrino in concordanza di fase a determinate distanze dalla nave, come visto in precedenza (sezione terza).
Nella parte posteriore della gondola vi è una serie di bobine supplementari (e una serie di riserva), dette “rafforzatrici CUN”, aventi lo scopo, già illustrato, di intensificare il campo di espansione mediante un’emissione supplementare di warpers. In tali bobine soltanto gli warpers vengono polarizzati, mentre i gravitoni vengono emessi in ogni direzione.
Il plasma residuo, raffreddato, viene in parte reimmesso nell’EPS e in parte impiegato nei reattori a fusione dei motori a impulso, utilizzando un circuito di condotti di recupero. Vi sono inoltre dei serbatoi di stoccaggio temporaneo.
In caso di emergenza, quando è necessaria l’immediata disattivazione del campo di curvatura, il flusso del plasma diretto alle gondole viene interrotto e il plasma contenuto nelle gondole espulso nello spazio. Per emergenze più gravi (danni strutturali rilevanti) è possibile la separazione della gondola dal pilone di sostegno; in tal caso é necessario che anche l’altra venga disattivata o separata.


Tenente Comandante Sooran (al secolo Salvatore Carboni)
Ufficiale Scientifico, con funzioni di Ingegnere Capo, della USS Capella NCC 54999

Lunga vita e prosperità


FONTI

Bibliografia:
La fisica di Star Trek, di Laurence Krauss, edizioni Longanesi.
Dio non gioca a dadi, di Walter Cassani, edizioni Demetra.
Dal Big Bang ai buchi neri, di Stephen Hawking, BUR Rizzoli.
Scienza ed emergenze planetarie, di Antonino Zichichi, BUR Rizzoli.

Filmografia:
Star Trek I – the motion picture.
Star Trek VIII – Primo Contatto.
La cruna dell’ago (VOY).
Ancora una volta (VOY).
Echi mentali (TNG).
Il diritto di essere (TNG).
Déjà-Q (TNG).
L’Emissario (DS9).
Nelle mani dei profeti (DS9).

Internet:
HyperTrek, a cura Luigi Rosa.
Tech Trek.
Webtrek Italia.


NOTE


  1. La massa può essere definita in diversi modi; la nozione più comune definisce la m. come quantità di materia contenuta in un corpo. La m. inerziale è, come visto, la resistenza che oppone un corpo alle variazioni del suo stato di quiete o di moto. La m. gravitazionale indica l’attrazione esercitata su o da altre masse. In proseguo sarà illustrato il concetto di massa relativistica, che può essere approssimativamente definita come la resistenza opposta da un corpo ad essere accelerato a velocità prossime a quelle della luce; a differenza della massa inerziale e di quella “sostanziale”, che sono costanti, la massa relativistica varia al variare della velocità.
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  2. Per la precisione, il lavoro è dato dal prodotto della forza per lo spostamento per il coseno dell’angolo formato tra la direzione della forza e quella dello spostamento ottenuto: L = F x S x cos(alfa): il lavoro è massimo quando tale angolo è pari a 0°; (cos 0°=1) e nullo quando l’angolo è di 90° (cos 90°= 0).
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  3. Si tratta di un’affermazione avente carattere indicativo e pragmatico: il campo gravitazionale non è mai nullo in alcun punto dell’universo, ma poiché decresce in ragione del quadrato della distanza dalla fonte, ad una certa distanza dalla medesima gli effetti divengono trascurabili. Per quanto riguarda l’attrito, la densità media dello spazio “vuoto” à di circa un atomo di idrogeno per metro cubo, valore anch’esso del tutto trascurabile.
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  4. Un anno luce è la distanza percorsa da un raggio di luce in un anno solare terrestre, ossia circa 9.460.800.000.000 chilometri.
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  5. Per basse velocità la massa inerziale della fisica classica coincide sostanzialmente con quella relativistica: a 400 km/s la differenza tra le due masse è pari a circa un milionesimo. A velocità prossime a quella della luce la massa relativistica aumenta rapidamente, secondo questa relazione:

                             M0
    M = ________________________
                                  V2
                    (1 – ________ )1/2
                                  c2

    dove M è la massa relativistica, M0 è la massa inerziale, V è la velocità, c è la velocità della luce. Appare evidente che ad alte velocità, ossia quando V ha valori abbastanza vicini a c, la massa relativistica aumenta in modo rilevante, e quando V = c, M assume un valore infinito. Appare inoltre evidente come per ottenere accelerazioni sempre maggiori siano necessarie quantità di energia sempre crescenti: è necessaria molta più energia per passare da 0,9999991 c a 0,9999992 c che non da 0,1 a 0,2 c!
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  6. Se ΔT è l’intervallo di tempo misurato da un osservatore in moto, e deltat è lo stesso intervallo di tempo (ossia, ad esempio, la durata di un certo evento) misurato da un osservatore in quiete rispetto al primo, detti intervalli non sono uguali (benché la differenza diventi significativa solo a velocità sufficientemente alte), bensì legati dalla seguente relazione:

                             Δt
    ΔT = ________________________
                                  V2
                    (1 – ________ )1/2
                                  c2

    dove, a parte ΔT e Δt, le variabili hanno lo stesso significato dell’equazione di cui alla nota n. 5. Ne deriva che, al crescere della velocità, per l’osservatore in moto gli eventi avranno una durata sempre maggiore, rispetto alle misurazioni effettuate dall’osservatore in quiete. Inoltre, due eventi contemporanei per uno degli osservatori potrebbero non esserlo per l’altro. Va precisato che non si tratta di un effetto limitato agli strumenti di misura utilizzati (ad esempio, orologi), bensì relativo all’effettivo scorrere del tempo per i vari osservatori. Un famoso esempio per illustrare tale concetto è il cosiddetto paradosso dei gemelli: se un individuo compie un viaggio a velocità relativistiche, e il suo gemello resta a casa, al rientro il viaggiatore troverà il gemello (e il resto dell’universo) invecchiato molto più rapidamente; se per lui il viaggio è durato un anno, per il gemello potrebbero essere trascorsi invece diversi anni, o decenni, o secoli (a seconda delle velocità raggiunte). Ogni viaggio a velocità relativistiche è quindi anche un “viaggio nel tempo”, e precisamente nel futuro… di chi resta.
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  7. L’invarianza della velocità della luce non è un semplice postulato fisico-matematico, ma un dato di fatto, convalidato da innumerevoli conferme sperimentali: la prima di esse, sulla Terra, risale al lontano 1887: due fisici inglesi, Albert Michelson e Edward Morley, nel corso di un celebre esperimento condotto alla Case School of Applied Science di Cleveland (USA), appurarono che la velocità della luce nella direzione del moto della Terra e quella ad angoli retti rispetto a tale moto erano esattamente le stesse. Numerosi esperimenti condotti nei secoli successivi hanno confermato l’esattezza di tale risultato.
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  8. Come è noto, l’ammortizzatore inerziale è un dispositivo comunemente usato a bordo delle navi spaziali, per proteggere l’equipaggio e il carico dagli effetti delle elevate accelerazioni. Il suo funzionamento è basato sul principio di (sostanziale) equivalenza tra massa inerziale e gravitazionale, e consiste nella generazione di campi gravitazionali polarizzati, compensanti esattamente le accelerazioni cui è sottoposta la nave per effetto dei propulsori a impulso, e annullanti in tal modo gli effetti inerziali delle masse libere poste a bordo della nave; ad esempio, se la nave viene accelerata in una certa direzione a 12 g (il g è l’unità di misura, sulla Terra, dell’accelerazione di gravità, ed è pari a 9,81 m/s), gli ammortizzatori inerziali produrranno immediatamente un campo gravitazionale di pari intensità nella direzione opposta, in ogni punto della nave. Gli occupanti della nave non sperimenteranno alcun effetto di variazione di velocità, in base al fondamentale principio della meccanica relativistica affermante che un sistema di riferimento in moto traslativo uniforme rispetto ad un sistema inerziale non può da questo essere distinto mediante nessun esperimento fisico.
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  9. Si ricorda che la quantità di moto associata ad un corpo in movimento, che si trasforma in energia al momento dell’impatto, è pari al prodotto della massa per la velocità (q = mv). Ne consegue che una piccola massa diviene assai pericolosa se impattata a velocità elevata.
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  10. Il deflettore di navigazione è un complesso dispositivo avente la funzione di liberare lo spazio attraversato dalla nave da materiale e particelle in grado di arrecarle danno. Esso emette un flusso di warpers (particelle portatrici di forza repulsiva: vedi oltre nel testo) nella direzione di avanzamento della nave e per un volume pari a 2,5 volte la sagoma frontale della nave. Le masse inferiori ad un determinato valore (dipendente dalla potenza del deflettore e dalla classe della nave) vengono deviate su traiettorie iperboliche, non intersecanti quella della nave; le masse non efficacemente deviabili vengono evitate mediante correzioni di rotta adottare automaticamente dal computer di navigazione. La particelle elettricamente cariche vengono deviate da campi magnetici aventi uguale polarità (la polarità viene modificata in base alla distribuzione delle particelle nella regione di spazio attraversato).
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  11. Una delle problematiche fondamentali che hanno agitato le filosofie delle varie specie è se lo spazio abbia o meno un’esistenza oggettiva, se sia cioè insito nella natura dell’esistente, ovvero sia una semplice tecnica adottata dagli esseri senzienti per “ordinare” la loro percezione della realtà. La fisica ha da tempo chiarito la natura oggettiva dello spazio, che esiste indipendentemente dalla percezione che ne ha un qualsivoglia essere senziente.
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  12. Si ricorda che, in base alla legge di Gravitazione Universale, il campo gravitazionale (al pari di quello elettromagnetico), ha intensità direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza:

                  m1 x m2
    F = ______________ x G
                      r2

    dove G è la costante di gravitazione universale.
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  13. Per il principio di equivalenza tra massa inerziale e gravitazionale, intensi campi gravitazionali producono effetti analoghi alle velocità relativistiche: la contrazione delle lunghezze, che tendono a 0, e la dilatazione del tempo, che tende all’infinito (v. nota 6).
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  14. Si tratta di un argomento di complessità inconciliabile con i limiti della presente trattazione. Si tenterà in questa nota di operarne una semplificazione comprensibile, per quanto limitata e approssimativa.
    Tutti i fenomeni che avvengono in natura sono riconducibili all’azione di una serie di forze fondamentali (dette così perché non risultanti dall’azione di altre forze), alcune note sin dall’antichità, altre scoperte in tempi più recenti. Tali forze agiscono mediante particelle-vettori di tipo bosonico, dotate di proprietà diverse dalle particelle costituenti la materia (che sono di tipo fermionico), quali quark ed elettroni. Ad esempio, esse possono occupare contemporaneamente lo stesso volume di spazio, in numero illimitato (a differenza delle particelle fermioniche, che devono sottostare al principio di esclusione).
    La forza gravitazionale porta le masse ad attrarsi tra loro, con intensità direttamente proporzionale al loro prodotto e inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Le particelle vettori sono i gravitoni. L’attrazione è il risultato dell’interazione dei gravitoni emessi dalle due masse. Ogni massa emette continuamente gravitoni, che essendo a loro volta privi di massa non riducono la massa emittente. Se però la massa è in orbita attorno ad un’altra (e buona parte della massa dell’universo è in tale situazione), l’emissione di gravitoni comporta, su periodi molto lunghi, la riduzione del raggio medio orbitale (per conservare il momento angolare).
    La forza Elettrodebole riguarda le interazioni tra particelle nucleari. Essa opera in due ambiti distinti, che si sono rivelati coincidenti alle alte energie, ma che nei fenomeni fisici della vita quotidiana riguardano fenomeni diversi. La forza Elettrodebole è difatti “composta” dalla Forza Elettromagnetica e dalla Interazione Nucleare Debole. La prima opera tra particelle dotate di carica elettrica, e agisce in senso attrattivo tra cariche diverse e repulsivo tra cariche uguali. La sua intensità, al pari della gravità, è direttamente proporzionale al prodotto delle cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Le particelle vettori sono i fotoni. La seconda è connessa alla tendenza di ogni sistema, e quindi anche dell’atomo, a raggiungere la configurazione avente il livello energetico più basso possibile. Tale forza è difatti responsabile della radioattività, mediante la quale gli atomi più pesanti si “alleggeriscono” (emettendo radiazioni alfa, beta e gamma) al fine di raggiungere una configurazione stabile. Le particelle vettori sono i bosoni vettoriali (W+,W-,Z0).
    L’interazione nucleare forte è la forza che tiene insieme il nucleo atomico. Mentre difatti gli elettroni, che hanno carica negativa, sono attratti dal nucleo (che ha carica positiva) mediante la forza elettromagnetica, il nucleo dell’atomo, essendo composto da protoni (con carica positiva) e neutroni (con carica neutra), tenderebbe naturalmente a disintegrarsi, a causa della repulsione elettromagnetica dei protoni. L’interazione nucleare forte impedisce che ciò avvenga. Va precisato che protoni e neutroni sono entrambi composti da quark: un protone è formato da due quark di tipo up e un quark di tipo down, un neutrone da due quark down e uno up. La forza in questione, che tiene insieme i quark formanti i nucleoni e, di riflesso, i nucleoni stessi, opera mediante particelle dette gluoni, aventi la caratteristica di interagire solo con i quark e con altri gluoni. All’interno dei nucleoni, la principale caratteristica dell’inter. Forte è la cosiddetta libertà di confinamento asintotico: a differenza delle forze sinora viste, la forza che tiene insieme i quark aumenta di intensità all’aumentare della distanza, e decresce invece insieme a quest’ultima. Ciò fa del protone una delle strutture più solide (e longeve) della natura, anche se la scoperta del nadione (usato nei phaser) ha posto fine al mito della sua indistruttibilità. La libertà di confinamento asintotico non opera invece tra nucleoni: è difatti noto sin dall’antichità come il nucleo atomico possa essere “rotto” in più pezzi.
    La forza Repulsiva è stata l’ultima ad essere scoperta: essa tende ad impedire le elevate concentrazioni di massa, e cresce di intensità al crescere della concentrazione (nelle singolarità difatti, a differenza di quanto ritenuto in passato, la densità – e quindi la gravità – non è infinita, bensì determinata dall’equilibrio tra forza gravitazionale, che tende a fare collassare la struttura, e forza repulsiva, che pone un limite alla densità della materia). La forza repulsiva opera, come detto, in funzione della concentrazione di massa: masse maggiori verranno respinte con intensità maggiore, elementi con peso atomico maggiore verranno respinti in misura maggiore rispetto ad elementi più leggeri. Tale forza opera su ordini di grandezza inferiori rispetto alla forza gravitazionale, e i suoi effetti divengono significativi solo in presenza di masse o campi gravitazionali elevati. Detta forza, come si vedrà in seguito nel testo, gioca un ruolo fondamentale nella propulsione a curvatura. Le particelle vettori sono, non a caso, chiamate warpers.
    Tutte le forze esaminate hanno natura discreta, ossia agiscono e si propagano (soltanto) secondo multipli interi di un valore minimo; hanno, in altre parole, carattere quantistico. La teoria del Campo Unificato è difatti fondata da un lato sull’estensione allo spazio-tempo del carattere quantistico delle forze fondamentali (in parole povere, lo spazio e il tempo hanno anch’essi natura quantistica, ossia risultano divisibili non all’infinito, come a lungo ritenuto in passato, ma sino ad un valore limite) e dall’altro dall’abbandono del concetto di particella puntiforme, cui viene sostituita una descrizione della materia e della radiazione in termini ondulatori. Massa ed energia sono quindi “perturbazioni” dello spazio-tempo discreto. Tale teoria, che solitamente viene sviluppata in epoca prossima alla realizzazione della propulsione a curvatura, consente di spiegare i fenomeni naturali in chiave deterministica, anche a livello subnucleare, abbandonando le approssimazioni probabilistiche della meccanica quantistica (che venivano invocate, ad esempio, a sostegno dell’impossibilità del teletrasporto!); consente inoltre una piena comprensione del funzionamento delle forze fondamentali, mediante equazioni che ne descrivono l’azione sia alle alte energie che nei fenomeni quotidiani, e che, come detto, hanno come comune denominatore l’interpretazione ondulatoria e quantistica di ogni fenomeno naturale.
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  15. Due onde sono dette in concordanza di fase quando, ad un dato istante t, sono entrambe nella stessa fase, crescente o decrescente. In tal caso l’energia delle onde si somma, ossia è come se vi fosse una terza onda avente come energia trasportata complessiva la somma delle altre due.
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  16. I gravitoni artificiali polarizzati sono detti VERTERONI.
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  17. L’espressione “cavitazione” è di origine molto antica, e risale all’epoca in cui gli spostamenti sui mari avvenivano mediante natanti mossi da eliche azionate da motori a combustione. L’elica, nel suo moto rotatorio, proietta davanti a sé la colonna d’acqua “raccolta” dalla sua particolare superficie in rotazione. Esiste una velocità limite, tuttavia, superata la quale il flusso d’acqua spinto dall’elica è superiore a quello “raccolto”, e l’elica finisce per “pescare” in vuoti d’acqua. Ciò comporta, come è intuibile, una diminuzione dell’efficacia dell’effetto propulsivo, che diventa discontinuo. Si crea, insomma ,una sorta di “cavità” nel flusso d’acqua mosso dall’elica: da qui l’espressione “cavitazione”.
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  18. Un esempio di cavitazione è mostrato in Star Trek – The motion picture, ed è dovuto ad uno “squilibrio nella propulsione a curvatura”, ossia ad un difetto di bilanciamento tra CUP e CUN di oltre il 10%.
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  19. I dettagli sul funzionamento del motore a curvatura verranno illustrati in proseguo.
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  20. La gravità agisce, come è noto, in ragione inversamente proporzionale al quadrato della distanza: ne consegue che due o più masse si attireranno con più forza nelle regioni tra loro più vicine e con meno forza nelle regioni più lontane. A ciò si dà il nome di “forze di marea” perché è il meccanismo con cui si formano le maree, in ragione dell’attrazione gravitazionale differenziata che una stella esercita sulle masse d’acqua dei pianeti del suo sistema e che, unitamente all’attrazione di eventuali satelliti, causa periodiche variazioni del livello delle acque.
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  21. Nel 1° film, difatti, Kirk appare preoccupato del dover usare la propulsione a curvatura per raggiungere prima possibile V’Ger mentre l’Enterprise si trova ancora all’interno del Sistema Solare.
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  22. Un Angstrom è pari a 10-8 cm. La luce visibile dagli esseri umani ha lunghezza d’onda compresa tra 3900 (violetto) e 7000 (rosso) Angstrom.
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  23. I campi gravitazionali, come è noto, provocano una deviazione dei raggi di luce che li attraversano. Una stella verrà di conseguenza percepita in una posizione (detta apparente) diversa da quella effettiva.
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  24. Il deuterio e il trizio sono isotopi dell’idrogeno: il nucleo del deuterio è composto da un protone e un neutrone, quello del trizio da un protone e due neutroni.
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  25. Il duranio è una lega composta da ferro, carbonio, titanio, manganese, piombo ed antimonio, sottoposta ad un processo di densificazione atomica che ne accresce la solidità e l’impermeabilità alla maggior parte delle radiazioni. Il duranio è in grado di sopportare elevatissimi stress strutturali senza deformazioni apprezzabili. Può sostenere una temperatura di 4000 °C per diversi minuti, senza fondere. Ha modesta conducibilità termica ed elettrica. La sua struttura resta sostanzialmente immutata anche a temperature prossime allo zero assoluto (-273,16 gradi Celsius).
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