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Servo-Subwoofer

Qualsiasi “woofer” montato in un box chiuso viene di norma “caricato” in modo tale che la frequenza di risonanza fondamentale e l’annesso fattore di smorzamento QTC corrispondano ad un prefissato andamento della risposta in frequenza (con i sistemi “accordati”, quali a esempio i reflex, il funzionamento è più complesso e i parametri che lo descrivono sono più numerosi, ma il ragionamento che andremo ad esporre può esser esteso anche ad essi, come vedremo).

Stessa frequenza di risonanza FC al variare del QTC

Stessa frequenza di risonanza FC al variare del QTC


Ecco, ad esempio, cosa si può ottenere da una cassa chiusa per una stessa frequenza di risonanza FC al variare del QTC.
Per rappresentare compiutamente la curva di risposta alle basse frequenze di una cassa chiusa basta conoscerne il QTC e porre la FC in corrispondenza al “100″ del grafico qui sopra. La frequenza di risonanza FC dipende dai parametri dell’altoparlante (primi fra tutti la MMS e la SD).
Al diminuire della massa mobile dell’altoparlante e del volume di carico, o viceversa all’aumentare della sua superficie, la FC e il QTC aumentano.
Ammettiamo di avere un woofer da 30 cm di diametro che, montato in una cassa chiusa troppo piccola per lui, esibisca una FC= 80 Hz e un QTC= 1,3.
La risposta in frequenza sarà la “1″, ed emetterà quindi i 40 Hz (la frequenza F= FC/2) a -11 dB rispetto al livello asintotico di riferimento.
L’unico modo per far funzionare meglio questo altoparlante ed estenderne la risposta in frequenza verso il basso, utilizzando solo metodi “passivi”, consisterà nell’aumentare il volume a sua disposizione (aumentando quindi anche l’ingombro dei diffusori).
Ma questo problema può essere affrontato anche con un approccio “attivo”, consistente nell’utilizzare, per pilotare il nostro altoparlante, un amplificatore dotato di una curva di risposta alle basse frequenze “speculare” rispetto alla curva “1″.
In questo modo la risposta in frequenza risultante potrà essere estesa verso il basso a volontà, avendo come unico limite la potenza elettrica disponibile e/o i limiti di escursione del nostro woofer.
Se FC e QTC sono noti, si potrebbe far precedere il nostro amplificatore finale da una rete elettrica che filtri il segnale in modo da conseguire la voluta risposta in frequenza speculare della “1″. E il gioco è fatto.
Questa, ad esempio, è la via che abbiamo seguito Bo Arnklit ed io nel novembre del 1984 nella progettazione del The Audio Bass.
Ma, se io la risposta del mio woofer nel mio volume non la conosco e non la posso prevedere o misurare?
Esiste un altro metodo per così dire “automatico” che consiste nel fare in modo che il mio amplificatore venga messo in condizione di “conoscere” ed equalizzare tutto da solo la risposta della mia cassa ottenendo alla fine l’andamento piatto desiderato.
Il metodo consiste nel predisporre un “sensore” in grado di rilevare la risposta in tempo reale e di collegarlo all’ampli in modo che questo adegui automaticamente la sua risposta in frequenza alle necessità rilevate.
A questo punto sarà bene evidenziare un concetto che nei vari forum su Internet dove si parlava di questi argomenti ho trovato espresso in modo molto, ma molto, confuso. E solo raramente corretto:
La risposta in frequenza di cui stiamo parlando è quella che si potrebbe misurare di fronte al nostro woofer ove questo fosse messo in condizione di emettere senza impedimenti né riflessioni di sorta, in condizioni di “campo libero”. La risposta misurabile ad almeno 1 metro di distanza in una grande camera anecoica, insomma…
Stiamo parlando quindi della pressione acustica emessa dall’altoparlante montato in cassa, ovvero il livello di dBSPL in funzione della frequenza.
Ora, deve sapere che questa risposta in frequenza ha un andamento che è uguale a quello della “accelerazione” del cono.
E che l’accelerazione è la derivata della velocità. E la velocità è la derivata dello spostamento (sempre rispetto al tempo).
Se ci troviamo in condizione di conoscere l’andamento della accelerazione del cono in funzione della frequenza (magari perché abbiamo applicato al cono un piccolo “accelerometro” (una capsulina piezoelettrica), quello è già perfettamente corrispondente all’andamento della risposta del nostro altoparlante. Volendola “equalizzare” basterà quindi reiniettarla nel nostro circuito finale su un ingresso invertente ed avremo realizzato una “controreazione” che farà variare la risposta del nostro ampli in modo da essere “speculare” rispetto alla risposta della cassa. A quel punto il sistema completo ampli più cassa presenterà una risposta in frequenza piatta (che volendo potrà essere filtrata passa-alto e passa-basso a priori per eliminare da tutto il funzionamento le frequenze indesiderate).
Con il metodo di “equalizzazione automatica” appena visto si ottiene anche una riduzione della distorsione introdotta da eventuali e sempre presenti non linearità nel campo magnetico e/o nelle sospensioni dell’altoparlante. Ovvero, nello stesso modo in cui la retroazione fa diminuire la distorsione dell’amplificatore, ora farà diminuire anche quella introdotta dal nuovo elemento introdotto nell’anello di retroazione, cioè l’altoparlante. Inoltre, verrà “equalizzato” e “compensato” anche qualsiasi effetto (lineare o non lineare che sia) dovuto ai cavi di collegamento ampli/cassa.
Ma, al posto dell’accelerometro, noi potremmo pensare di impiegare anche altri tipi di “sensori”.
Come ad esempio un microfono esterno molto ravvicinato (tale da rilevare direttamente la risposta in campo vicino). In questo caso il delay fra la applicazione del segnale e il segnale rilevato e riportato in retroazione rende però più difficile mantenere tutto il sistema perfettamente stabile. Nel senso che quando il segnale che andiamo ad applicare come retroazione si presentasse ruotato di 180° rispetto a quello di ingresso avremmo in realtà costruito un oscillatore…
Stesso problema (aggravato dalle stazionarie e dai rimbombi nel mobile) lo si deve fronteggiare anche con il metodo, proposto da R.H.Small, che prevede l’uso di un microfono omnidirezionale posto dentro alla cassa (vedi anche questa immagine)
In questo caso, la tensione fornita dal microfono avrà l’andamento della pressione nella cassa, che ha lo stesso andamento dello “spostamento” del cono. E quindi, prima di essere usato come segnale di controreazione, dovrà essere derivato due volte per farlo diventare simile a quello dell’accelerazione (questo lo si fa applicando in banda passante un andamento aggiuntivo crescente a 12 dB/ottava, ottenibile con un filtro passa-alto avente una frequenza di taglio FT sufficientemente più alta di quella massima che si vuole compensare). Il vantaggio di questo metodo è che sarebbe applicabile anche alle casse Reflex. La pressione all’interno del mobile infatti, ove derivata due volte, ci offre lo stesso andamento della risposta in frequenza “esterna”: indipendentemente dal numero di membrane e/o di fori presenti sulla cassa.
Un altro sistema… E qui veniamo al dunque”, è quello che prevede di utilizzare un altoparlante a doppia bobina, usandone una come bobina “motrice” e l’altra come “sensore”, questa volta “di velocità”.
Quando alimentiamo la prima bobina il cono si muoverà e la seconda bobina, immersa anch’essa nel campo magnetico, diverrà sede di una forza elettromotrice proporzionale alla sua velocità. Che poi è anche quella del cono. Per risalire all’accelerazione (ovvero alla pressione in dBSPL generati) si dovrà quindi applicare al segnale, come nel caso precedente, un processo di derivazione, ottenibile questa volta con un solo filtro passa-alto del 1° ordine, che preveda comunque una frequenza di taglio FT adeguatamente più alta (500/1000 Hz) della banda sulla quale deve fornire la desiderata azione di rotazione antioraria a 6 dB/ott del segnale di retroazione (20:200 Hz). Dopodiché si prenderà questa tensione e la si riporterà indietro ad un ingresso invertente in modo di poterla impiegare come parte della controreazione.
Ma, naturalmente, il suo livello dovrà essere compatibile sia con l’amplificatore che con l’altoparlante impiegati (dovrà quindi essere regolato accuratamente) e dipenderà in modo rilevante dalla tipologia di woofer a doppia bobina impiegato: impedenza, efficienza e struttura degli avvolgimenti inclusi.

Schema a blocchi per servcontrollo woofer a doppia bobina

Schema a blocchi per servcontrollo woofer a doppia bobina

Qualcuno potrebbe chiedersi se il segnale applicato alla prima bobina abbia o meno la capacità di far nascere nella seconda una f.e.m. indotta come avviene (per “mutua induzione”) fra gli avvolgimenti primario e secondario nei trasformatori.
Nell’altoparlante magnetizzato questo processo è impossibile, dato che per far nascere una f.e.m. nel secondo avvolgimento, a causa delle variazioni di corrente nel primo, bisogna che il flusso magnetico concatenato con entrambi possa variare “copiando” l’andamento della corrente. E questo in un altoparlante non può avvenire per definizione, dato che il suo circuito magnetico lavora nel ramo alto orizzontale della curva di isteresi del magnete, ovvero è “saturo” e l’induzione magnetica B è quindi costante e non influenzabile dalla corrente che scorre nella bobina motrice. Questo ci assicura quindi che la tensione che rileveremo ai capi della seconda bobina usata come “sensore” sarà veramente generata solo dal movimento del cono, risultando come già detto proporzionale alla sua velocità.